- Ehi! Sta’ più attenta!
La biglia scivolò dalla manina assonnata e, roteando su di
sé, balzò sull'erba morbida e solcò il giardino fino al muretto di cinta,
fermandosi accanto a un grosso fungo rosso. Subito dopo, la seconda biglia
seguì la prima, ma il tonfo fu più pesante, e i balzi più rocamboleschi: urtò
il fungo, svegliando il folletto che vi riposava, rimbalzò sul muretto color latte,
per finire accanto al Signor Cesare, il folletto che stava dipingendo con un lungo
pennello le margheritine che puntellavano l’aiuola.
- Accipicchia,
non vedi che sto lavorando? Pensi che si colorino da sole? Uff...
Nel frattempo, il folletto assopito si era risvegliato dal
suo torpore:
- Ma
sì, Signor Cesare, questi umani pensano di essere i soli artefici delle cose
che li circondano! Ignorano noi e il nostro piccolo mondo laborioso, – disse con
gli occhi ancora socchiusi, accucciandosi di nuovo sul fungo.
Lia si ritrovò improvvisamente catapultata nel verde del
giardino e dei suoi abitanti. Accanto a lei, una fila indiana di formiche
pronte a raccogliere le provviste per l'inverno. Di fronte, quel funghetto
rosso minuscolo spuntato qualche tempo prima era ora gigantesco e sopra c'era
persino un folletto in calzamaglia!
Ma chi è questo Signor Cesare? – pensò Lia e, spostando
lo sguardo al lato del fungo, scorse un omino in calzamaglia rossa, un po’
calvo, con pochi capelli lunghi fino alle spalle e una folta barba bianca,
tutto intento a dipingere le margherite dell’aiuola. Accanto a lui, alcuni
attrezzi del mestiere: tubetti di colore, pennelli di varie fogge e misure, una
piccola brocca colma d’acqua e un cappello a punta adagiato sull'erba accanto
alla tavolozza variopinta.
Dove sono finita...?
Lia si guardò intorno, attonita. Strabuzzò gli occhi, li
stropicciò più volte e... Accipicchia, sono in giardino! Cioè, anche prima
ero qui, ma adesso è tutto più grande…
I gigli color arancio, che prima annusava dall'alto, erano
ora enormi arbusti svettanti verso il blu. Mmm, un nascondiglio perfetto: devo
ricordarmelo la prossima volta che gioco a nascondino!
- Ciao
Lia!
Una voce sconosciuta fece irruzione tra i suoi pensieri. Chi
era? Come mai conosceva il suo nome? Lia si voltò di scatto. Non credette ai
suoi occhi:
c'era una cavalletta verde brillante che le sorrideva! Impietrita, la bambina non proferì parola. Allora la cavalletta, per metterla a suo agio, si esibì in un tris di facce buffe e poi si presentò:
Per gentile concessione di un amico. Modifiche mie. |
c'era una cavalletta verde brillante che le sorrideva! Impietrita, la bambina non proferì parola. Allora la cavalletta, per metterla a suo agio, si esibì in un tris di facce buffe e poi si presentò:
- Comunque
mi chiamo Egisto, – disse indicandosi maldestramente con una zampa, continuando
a sorridere con tutti i denti che aveva. – Sono una cavalletta. Lo sapevi che
le cavallette sono così? – incalzò mostrando il corpo atletico. – Cioè, non
proprio tutte, io sono molto più simpatico delle altre! Non trovi? – disse
strizzando un occhio e socchiudendo le labbra a mo’ di bacio.
Lia, impallidita, annuiva.
- Io
vivo qui da un sacco di tempo, mi piace. I tuoi nonni si prendono cura del
giardino con tanto amore e così c’è cibo in abbondanza, e io posso saltare di
foglia in foglia, annusare i fiori, giocare sulla corteccia degli alberi da
frutto, e…
- Tu
abiti qui? – lo interruppe Lia, sorpresa.
- Certo!
Ti va di fare un giro? C’è un sacco di gente simpatica da queste parti, sai? Siamo
piccolini, colorati, spesso canterini. Anche se gli umani, in genere, non
badano a noi…
- Davvero?
- Beh,
prendi tuo fratello, ad esempio. Viene qui con i suoi amichetti e che fa?
Semina panico e distruzione. Calpesta tutto con violenza; innaffia al posto di
tuo nonno e, invece di darci la giusta acqua, provoca un'alluvione; e quando tira
i calci al pallone per colpire il ciliegio – sembra che voglia spezzarlo in
due, accipicchia! – provoca un terremoto prima nella casa di Sir Giotto e poi
nelle nostre. Davvero un bambino insopportabile.
Lia lo guardava attonita. Come poteva, una cavalletta, sapere
tutte quelle cose su Lello?
- E
anche tu, signorina, non sei da meno quando ti arrabbi e, per dispetto, getti i
tuoi piccoli rifiuti in giardino. Sai che con quella gomma da masticare alla
fragola hai quasi ucciso mio cugino Achille, un grillo campione di salto in
lungo, che proprio in quel momento stava atterrando da un lungo balzo durante
un allenamento? Sai che le cartacce disorientano le formiche e ogni volta che
ne lanci una loro, in preda al panico, perdono la strada?
Quella cavalletta chiacchierona ne sapeva abbastanza anche
sul suo conto.
- Sai
che Lello ha tentato più volte di far cadere l'alveare, urtandolo con quel
bastone laggiù? Guarda, le api sono pazienti e gli hanno dato un ultimatum...
Fossi stato io, al loro posto, lo avrei punto un sacco di tempo fa.
- Ehm,
ma come…
- Per
non parlare poi di quei sacchetti trasparenti. Cosa sono, gli involucri dei
vostri giocattoli? Beh, è plastica. E ci soffoca. Ma non la fate, voi, la
raccolta differenziata? Insomma, siamo nel terzo millennio, perbacco, un po' di
rispetto. – Egisto si faceva sempre trasportare quando il tema gli stava
particolarmente a cuore.
- Beh…
Mi dispiace! Starò più attenta. Anche la nonna lo dice sempre.
Gli occhi di Lia erano spalancati, l'espressione seria, quasi
preoccupata. Poi, d'un tratto, scoppiò a ridere. Egisto era davvero buffo,
soffriva un po' di logorrea, ma aveva detto la verità: quello che aveva dipinto
era proprio suo fratello Lello, il terrore dei vicini. Di tutti i
vicini, a quanto pare. E anche i suoi dispetti non erano passati inosservati.
Nel frattempo, Egisto tornò a sorridere con tutti i denti di
cui disponeva.
- Vada
per il giro, allora! So che conosci il giardino in ogni suo angolo, ma ora lo
osserverai da un altro punto di vista. Perché è importante capovolgere i punti
di vista, sai, bambina?
E così dicendo inserì la testa sotto le zampette anteriori e
sbucò da un lato, quasi a mimare un punto di vista diverso, e da là sotto le
fece l’occhiolino. Lia rise divertita.
- Dai,
andiamo! Sono proprio curiosa.
Egisto le porse una zampa e, insieme, sotto braccio, si
incamminarono alla ri-scoperta del
vecchio giardino.
- È
stata un'estate bislacca, non trovi?
- Eh
già, quest'anno la mamma e il babbo non ci hanno portato spesso al mare, non
faceva caldo come le altre volte.
- Oh
cielo, quanto lo avrei voluto, bambina! Non per il caldo in sé, sia chiaro,
ogni anno fa una strage di insetti, ma perché almeno per un po' sareste stati
lontano da qui e invece, dove vi hanno parcheggiato? Dai nonni, ahimè.
- Io
ci sto bene dai nonni.
- Ci
sto bene anch'io! – ribatté la cavalletta, corrucciata.
- Egisto,
ma noi siamo bambini, cosa possiamo fare, altrimenti?
- Mia
cara, lo so bene, ma i bambini devono imparare a rispettare la Natura da
bambini, per l'appunto. Altrimenti diventeranno dei grandi da strapazzo. E
siete già sulla buona strada. Cioè, sulla cattiva strada. Voglio dire, sulla
buona strada per la cattiva strada. Non so se mi sono spiegato.
- Sì,
credo di sì...
Dopo una pausa Egisto aggiunse quasi sottovoce:
- Il
problema è che il mio cervello è rapidissimo. Capisci, bambina, le mie parole
spesso fanno fatica a rincorrerlo e a volte ne perdo qualcuna. Pertanto –
schiarendosi la voce con fare maestoso – se non sono stato sufficientemente
chiaro, posso ripetere tutto.
Quel tutto detto così, tra l'innocente e il minaccioso,
terrorizzò la piccola umana. Il suo apparato uditivo chiedeva pietà:
- Ehm,
credo di aver capito tutto, Egisto.
- Ok,
baby. Allora, eccoci qua. Ti presento il Signor Cesare.
- Buongiorno
Signor Cesare! – lo salutò Lia.
- Ciao
Lia. Tieni, questa biglia è tua.
- Il
Signor Cesare è un folletto pittore e vive in questo giardino da molti decenni,
ha già incontrato altri bambini prima. Invece, per me, tu sei la prima! – disse
Egisto con il suo solito sorriso smagliante e gli occhi tondi e felici,
avvicinando il viso a quello di Lia e cingendole le spalle con una zampetta per
avvicinarla a sé ancora di più.
- Davvero
Signor Cesare? Non sono la prima bambina che viene quaggiù?
- Certo
che no! Tanto tempo fa, ce n'è stata un'altra prima di te. Era molto bella e gentile.
Ti somigliava anche un po'. Ma poco, eh.
- Ohhh...!
– esclamò Lia. Chi poteva essere?
- Il
Signor Cesare dipinge a mano, uno ad uno, ogni petalo di ogni margherita che
trovi in giardino. Hai visto quanti attrezzi ha? Hai visto com'è bravo? Pensavi
che le margherite diventassero rosa per magia? Beh, in un certo senso... – disse
Egisto riflessivo, portando l’indice e il pollice al mento. – Ma vieni, ti
presento Clock.
- Chi
è Clock?
- Clock
è quel folletto fannullone lassù, sul fungo. Ehi Clock, abbiamo visite!
- Perché
è fannullone?
- Ma
no, dai, scherzavo. Lui si riposa ora, perché lavora molto d'inverno.
- Che
lavoro fa?
- Viaggia.
- Viaggia?
- Beh,
non solo. È una specie di postino.
- E
perché non consegna la posta d'estate? Le persone viaggiano, inviano cartoline.
È per la crisi, forse? Ormai tutti usano Internet e inviano le foto con un
click, per questo Clock è disoccupato?
- No,
bambina, è diverso. Clock è un postino speciale – replicò la cavalletta
ammiccando, e poi abbassando d’un tratto la voce – Clock lavora per Babbo
Natale… – disse portando una zampa alla bocca, quasi temendo che orecchie
indiscrete potessero udire.
- Per
Babbo Natale?!!
Immaginate tutto lo stupore di una bambina. Perché tutto lo
stupore di un adulto non sarà mai abbastanza di fronte allo stupore di un
bambino.
- Sì,
per Babbo Natale, – replicò sorridendo affettuosamente.
Gli occhi di Lia si riempirono di gioia, una gioia che la
portava quasi alle lacrime. Clock è uno dei folletti di Babbo Natale...
- Svegliati
pelandrone! Abbiamo visite! – urlò Egisto scuotendo il gambo del fungo.
Dopo qualche attimo di attesa, qualcuno finalmente si
affacciò a testa in giù. Prima arrivò la punta di un cappello a righe verdi e
bianche, poi fece capolino il naso, e poi tutto il resto.
- Ecco
Clock!
- Ciao
Clock, io sono Lia! – si presentò la bambina con emozione.
- Buongiooorno!
– sbadigliò Clock e, stiracchiandosi un po', aggiunse – So bene chi sei! Ti ho
portato la casa delle bambole, due libri di racconti e un braccialetto lo
scorso Natale.
- Wow!
Ma allora sei davvero uno dei folletti di Babbo Natale! – esclamò Lia ancora
più meravigliata, se mai fosse stato possibile.
- Certo!
Non crederai mica alla storia del barbuto che in una notte porta i regali ai
bambini di tutto il mondo!
- Ah,
no?
- No,
quella è una storia per i bambini piccoli. La verità è che Babbo ha una serie
di aiutanti: ogni folletto si occupa di recapitargli le lettere della sua zona,
preparare i regali e poi consegnarli per conto suo.
- Sul
serio?
- Certo!
Ormai sei grande per credere alle storielle, non trovi? E comunque sia, io
lavoro qui. Quindi se vuoi far prima, puoi già consegnarmi la prossima lettera.
- A
dire il vero, non ci ho ancora pensato quest’anno.
- Beh,
pensaci, allora. Io resto qui a riposarmi per un paio di settimane, – disse
Clock ritraendosi sulla sommità del fungo per riposare ancora un po’. – Anzi,
aspetta, – gattonò per affacciarsi di nuovo all’ingiù – perché quest’anno non
chiedi un regalo con meno imballaggio?
- Che
cos’è? – replicò timidamente Lia.
- La
carta, il cartone. A volte c’è anche la plastica con le bollicine, quella cosa
scoppiettante che ti piace tanto. Sai, per fabbricare tutta quella carta vengono
abbattuti innumerevoli alberi, che sono un bene prezioso per la Terra, ma
soprattutto sono la casa di tanti miei amici che ogni anno vengono sfrattati. E
poi occupano un sacco di spazio nel mio sacco, mi pesano e, alla fine, tu li
butti via. – E sbadigliando tornò a ronfare accoccolandosi sul fungo, lasciando
Lia a bocca aperta e instillandole, a modo suo, gocce di amore per una Natura tanto
bistrattata.
Lia non aveva mai pensato all’imballaggio dei regali, d’ora
in poi vi avrebbe prestato più attenzione; del resto, anche la nonna glielo
suggeriva spesso.
Egisto e Lia proseguirono il viaggio. La cavalletta voleva
portare Lia nell’angolo più magico, il rovo di rose. Lia aveva sempre pensato
che le rose fossero dei fiori belli, ma un po’ scorbutici: “non vogliono
lasciarsi prendere, piene di spine come sono! Vogliono soltanto farsi ammirare,
che fiori snob!”
Per giungere al groviglio, però, dovevano superare le radici
del vecchio ciliegio, un albero che il nonno aveva piantato tanti anni prima.
Il vecchio ciliegio era la dimora di Sir Giotto, un gufo simpaticissimo con
velleità artistiche: la sua tana era un cerchio perfetto nella corteccia, per
questo motivo gli abitanti del giardino lo chiamavano Giotto. Quanto a Sir,
invece, il soprannome derivava dal suo accento spiccatamente inglese: era,
infatti, volato fin qui dall’Inghilterra per ampliare le sue conoscenze artistiche
nel nostro Paese. Il suo vero nome si era perduto nella notte dei tempi, ormai tutti
lo chiamavano Sir Giotto, e questa era l’ora del pisolino.
- Shhh!
Piano, altrimenti rischiamo di svegliarlo.
- Ma
dov’è? Io non lo vedo. Sei proprio sicuro che ci sia?
- Certo
che c’è. Eccolo lassù, mimetizzato con la corteccia; ha tre piume colorate,
però. La Natura è davvero magica… – sospirò incantata la cavalletta.
- Ah,
eccolo! L’ho visto, l’ho visto!
- Shhh!
Superate le radici, eccoli a pochi passi dal rovo, un
cespuglio quasi spettrale, se visto dall’esterno, pieno di spine lunghe e
aguzze.
- Sei
proprio sicuro, Egisto? È qui che vuoi entrare? Mi sembra un posto orribile…
- Non
guardare con gli occhi, mia cara. Gli occhi tradiscono, molto spesso. Non tutto
è come sembra. Prova a chiuderli, e a guardare con gli occhi del cuore. Gli umani
hanno dimenticato gli occhi del cuore e, così, non sentono più. È un gran peccato…
Lia, allora, chiuse gli occhi ed Egisto la condusse per mano
all’interno del rovo. Un’atmosfera magica avvolse la bambina, cullandola in un
piacevole tepore che le inondava il cuore ed esplodeva in una gioia contagiosa.
- Ma
è bellissimo! Posso aprire gli occhi adesso?
- Aprili
pure, mia piccola amica…
Ciò che Lia sentì
con gli occhi del cuore si palesò davanti a lei. Si trovava all’interno di una
cupola di foglie e steli di rosa, la luce filtrava tra di essi e si rifletteva in
un gioco di colori e trasparenze sulle ali di creature magnifiche. Un profumo
inebriante si diffondeva nell’aria. Esili e slanciate, regali nel portamento,
con ali meravigliose, si spostavano a gruppetti di due o tre da una foglia
all’altra. Qualcuna, invece, svolazzava solitaria. La leggerezza era uno stato
di grazia.
Incredula ai suoi occhi, Lia non riusciva neanche a emettere
un “ohhh!” di stupore.
- Hai
mai visto una creatura più incantevole di una farfalla? – le domandò Egisto con
aria sognante.
- Sono…
farfalle?!
- E
cos’altro!
- Sono
bellissime...
Qualsiasi parola avrebbe rovinato l’incanto di quel momento.
Ecco cosa celavano i rovi: impedivano agli esseri umani di entrare nel regno
delle farfalle, fatto di luci ora soffuse ora più allegre, di colori danzanti dalle
tinte pastello semitrasparenti, di profumi di foglie di rosa, di corteccia e
vaniglia che hanno pervaso i sensi di Lia fino alle viscere, non li avrebbe più
dimenticati. Sarebbero stati suoi per tutta la vita.
Una giovane farfalla planò poco distante dai due osservatori.
Slanciata, ali grandissime bianco latte con una delicata bordatura nera, volto
minuto e appuntito, occhi allungati, quasi orientali, e un foulard elegante a
coprire la sommità del capo, proprio all’innesto delle lunghe antenne
leggermente ricurve. Si avvicinò, camminando, prese una mano della bambina e le
sfiorò una guancia…
- Lia!
Lia! Dove sei? – la nonna chiamava la nipotina dall’interno della casa color
latte.
La voce si faceva via via più vicina. Pian piano, lentamente,
Lia si risvegliò da uno strano torpore, sentiva un leggero solletico sulla
guancia paffuta. Avvicinò la mano e, con la coda dell’occhio, intravide
qualcosa muoversi. Stropicciò gli occhi con le manine e li spalancò: davanti a
lei una farfalla color latte con le ali bordate di nero svolazzava leggera
nell’aria; le si posò sul nasino, poi fece una piroetta e scivolò da un lato
accarezzandole una guancia con il battito d’ali.
Che cosa è successo?
- Sono…
in giardino… nonna! – Replicò la bambina guardandosi attorno incredula.
Lia era accoccolata su un telo di lino che la nonna aveva
disposto sull’erba, attorniata da bambole e altri giocattoli. Uno strano ronzio
proveniva da lì: spostò una bambola e qualcosa balzò verso l’erba. Allora affinò
lo sguardo, ma era tutto ugualmente verde. Di nuovo quel suono stridulo e
sottile, quasi logorroico nel suo zillare: una cavalletta le saltò sul
ginocchio, fece una riverenza e balzò via di nuovo, fuggendo verso le margheritine
rosa dell’aiuola.
La bambina era confusa, le sembrava di aver fatto un sogno
fantastico. Intorno a lei, tutto era immutato, era il solito giardino dei
nonni.
- Eccoti,
finalmente, bimba!
- Nonna…
Alla vista della
nonna, il volto di Lia si aprì in un sorriso raggiante. Si alzò per andarle incontro.
Qualcosa tintinnava tra le pieghe del vestitino. Affondò la mano nella tasca e
pescò due biglie pennellate di rosa. Per un attimo le osservò pensierosa.
- Che
succede? – domandò la nonna sorridendo.
- Queste
biglie sono… dipinte di… rosa! – rispose con la voce tremante la piccola Lia,
sollevando il braccino verso la nonna.
- Ah
sì, anch’io ho due biglie così! – replicò a sua volta la nonna con un sorriso
velato, lanciandole uno sguardo d’intesa.
In un attimo, tutto acquistò senso.
Un raggio di sole illuminò il volto di Lia, che corse
incontro alla nonna e le saltò al collo. Avevano gli occhi simili, nonna e
nipote. Si abbracciarono strette strette e continuarono a sorridere. Complici.
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